

Si è appena concluso Cheese 2015, uno degli appuntamenti più interessanti del settore caseario, organizzato da Slow Food a Bra, in provincia di Cuneo.
Cheese è molto più di un’esposizione e commercio dei prodotti riservata a professionisti. E’ luogo di conoscenza e riflessione sul percorso, gli ostacoli e le nuove sfide di questo settore, attraverso incontri tematici e luoghi di dibattito che coinvolgono produttore e consumatore. Tante anche le attività dedicate ai bambini, con laboratori che li hanno visti partecipi nella manipolazione del cibo.
In particolare, questa edizione ha messo l’accento sul tema della montagna, con le sue biodiversità, la scelta di metodi e stili di vita da produttori della tradizione, il futuro dell’alpeggio, le quote latte.
Inevitabile il riferimento alla diffida con cui la Commissione UE chiede all’Italia di abolire la legge 138 dell’11 aprile 1974. Tale normativa impone la produzione dei formaggi solo con latte crudo, mentre l’abolizione permetterebbe l’uso di latte in polvere, mettendo seriamente a rischio gli alti standard qualitativi dei formaggi italiani e i riconoscimenti che a questa peculiarità sono dovuti.
Naturalmente previsti anche dei percorsi di degustazione per conoscere le eccellenze di tradizione nazionale ed estera. Interessante il dibattito sui formaggi illegali: Casu marzu e simili.
Tanti i temi, per cui tenterò di fare un sunto del mio tempo trascorso a Cheese 2015, soffermandomi su ciò che ha suscitato di più il mio interesse e la mia curiosità.

Cheese 2015, il futuro degli alpeggi e le quote latte
Ai dibattiti sul futuro degli alpeggi e l’abolizione delle quote latte, sono intervenuti sindaci ed autorità locali, esponenti di Slow Food e allevatori. Tema centrale, comprendere e superare gli ostacoli vissuti dai piccoli produttori che vivono il territorio, ne definiscono la conformazione e garantiscono l’economia, utilizzando metodi più in sintonia con la natura. Tale categoria è infatti messa a dura prova dall’allevamento intensivo che non rispetta la ciclicità delle coltivazioni e il benessere degli animali. Su questo punto si è aperta anche una riflessione su quanto i metodi tradizionali di allevamento garantiscano realmente la non sofferenza degli animali.
Con il tema dell’abolizione delle quote latte, si pone in evidenza il difficile confronto del piccolo produttore con i giganti del mercato, che lo rendono poco competitivo.
Conoscere il cibo
Parallelamente a questi momenti di riflessione, la fiera ha visto protagonisti i bambini e le famiglie, coinvolti in laboratori di conoscenza del cibo (la pizza) e della filiera produttiva, attraverso percorsi esplicativi sull’allevamento e la transumanza.

Cibo di strada e dolci, tradizione e innovazione
In numerosi espositori, accanto ai formaggi sono esposte golose confetture e miele, mostarde e vini, liquori ed aceto balsamico, per suggerire accostamenti gastronomici da buongustai.
Non solo formaggio, ma cibo a tutto tondo, con i venditori itineranti di specialità regionali: panelle, arancini di riso, cannoli alla ricotta e cassate, zeppole di Ottaviano. Tutto preparato con prodotti di eccellenza.
E nel mio personale percorso di degustazione dei dolci, non potevo mancare all’assaggio dei gelati al formaggio, che da sempre hanno suscitato il mio interesse e non riuscivo ad immaginare, tra curiosità e scetticismo. Interessantissimi gli accostamenti di Bra dop e salsa di fichi, mascarpone e noci, mozzarella di bufala e cioccolato. Il gelato al formaggio è insolito come gusto e assolutamente da provare.


Tra eccellenza e proibizione, 5 formaggi che non si può non provare
Nel percorso di degustazione formaggi, erano previste anche le produzioni di numerosi Paesi europei ed extraeuropei, difficilissimo scegliere, da amante e golosa di formaggi, ma quelli che vi consiglio di provare, se non l’avete ancora fatto, sono 5, tra i miei (numerosi) preferiti, per gusto, forma, storia.
Casu Marzu (Sardegna)
Il Casu marzu (o formaggio marcio) è una specialità della Regione Sardegna, bandito dal commercio e parte quindi dei formaggi cosiddetti illegali, in quanto soggetti a norme europee e nazionali restrittive che ne impediscono la produzione a scopo di vendita.
Ha ottenuto il riconoscimento di Prodotto Agroalimentare Tipico, ma considerato a rischio per la sua particolarità.
Il Casu marzu viene prodotto con latte ovino o caprino e la sua pasta è colonizzata da larve del moscerino Piophila casei (o mosca casearia), che depone le sue uova nel formaggio, da cui nascono delle piccolissime larve. Il risultato è un formaggio dal gusto forte e piccante, la consistenza della pasta è più cremosa nella parte centrale, più solida verso la crosta.
Lo stand del caseificio che lo ha esposto ed offerto per la sola degustazione, era affollato da persone che desideravano assaggiarlo. Fino a qualche anno fa non si poteva parlare di questa specialità, senza suscitare disgusto e disapprovazione, evidentemente gli amanti dei formaggi sono un popolo aperto e dal palato fine, a Cheese 2015 bisogna riconoscere anche questo pregio.
Grazie alla mia “vecchia” conoscenza di questo formaggio, azzardo un consiglio per superare ogni resistenza e provare ad assaggiare il casu marzu. Da piccola ne detestavo persino la vista e, vermi a parte, il sapore era troppo forte per il mio palato di bambina. Un giorno mio padre mi fece notare che la colonizzazione delle larve era concentrata verso il centro, o un punto preciso della forma, mentre verso le pareti esterne, o attorno a questo punto specifico, erano poche o quasi totalmente assenti, cosi mi ha convinta ad assaggiarlo ed è stato amore. Adesso, le rare volte in cui mi capita di vederlo, mi avventuro anche nelle parti più centrali e cremose, senza remore. Provate!

Ricotta salata affumicata (Calabria)
Un’altra specialità casearia che merita attenzione è la ricotta affumicata prodotta in Calabria, straordinariamente tenera, dalla pasta consistente ma morbida, bianca all’interno e color fumo nello spessore più esterno. La ricotta affumicata è prodotta con latte di pecora o capra, mediante la bollitura del siero e l’affioramento dei fiocchi, dopo la sgrondatura viene salata e stagionata tramite affumicatura, posta su impalcature in cui arriva appunto il fumo da brace di legni aromatici (castagno, felce).
Le ore di affumicatura ne determinano anche la stagionatura, il tempo minimo è di 24 ore per la ricotta morbida, tempi più prolungati, anche diversi giorni, per la ricotta secca da grattugia.
L’estate scorsa ho assaggiato sul posto quella prodotta a Mammola, sui paccheri conditi con sugo di stocco e su fette di pane di montagna, irrorata con miele di limoni.
Bra dop tenero e duro (Piemonte)
Anche scegliere tra i formaggi piemontesi è un’impresa ardua, diversi gli stand a Cheese 2015 e gli spazi di degustazione.
Il Bra è forse uno dei più rappresentativi della produzione del cuneese, si ricava dal latte di mucca e nasce nel cuore del Roero. Può essere definito dop se prodotto appunto nella provincia di Cuneo e con latte della medesima area geografica. Del Bra dop esiste la variante d’alpeggio, prodotto nei comuni montani della medesima provincia.
Il Bra tenero ha una stagionatura breve di circa 1 mese e mezzo ed è di pasta chiara e morbida, occhiatura piccola e rada. Il Bra duro è adatto anche per essere impiegato in cucina, viene stagionato per un minimo di 8 mesi, ha un colore avorio giallino, più compatto del Bra tenero, con occhiatura minuscola
Conciato romano (Campania)
Il conciato romano è prodotto con latte ovino in alcuni comuni del casertano, ha un aroma molto forte e pronunciato.
La sua lavorazione si basa su metodi antichissimi e dalle origini incerte, secondo alcune fonti risale alle comunità agropastorali sannitiche, secondo altri a quelle romane, appunto. Sostanzialmente il metodo consiste nella rottura della cagliata a mano, che viene poi sgrondata, formata e insaporita con olio, aceto e peperoncino. La forma cosi conciata viene quindi fatta stagionare a lungo dentro vasi di terracotta, in assenza d’aria, come avviene con il formaggio di fossa.
Tradizionalmente veniva fatto stagionare per alcuni anni, in tempi più recenti si è diffusa un tipo di lavorazione a stagionatura breve, con un risultato completamente diverso, per cui si hanno conciati romani a pasta bianca e morbida e conciati romani a pasta più compatta e avorio.
Il presidio Slow Food ha definito un disciplinare che impone un ritorno a metodi più vicini alla tradizione e una stagionatura minima di 6 mesi.
Bitto (Lombardia)
Sapete che il Bitto è il formaggio previsto nella ricetta originale dei pizzoccheri alla valtellinese? Bisogna però fare una distinzione tra il Bitto prodotto secondo metodi che rispondono alle esigenze della GDO, e il Bitto storico, la cui produzione è regolamentata da un ferreo disciplinare e la cui stagionatura può essere prolungata fino a 10 anni.
E dato che utilizzo quello “industriale” quando cucino i pizzoccheri, vi assicuro che tra i due formaggi c’è un abisso in termini di gusto, profumo, sensazioni.
Le aree di produzione del Bitto sono Sondrio, Bergamo, Lecco, i comuni della Val Brembana.

Queste le mie impressioni e il mio reportage, dopo due giornate trascorse a Bra per Cheese 2015, un evento fatto di riflessioni, opportunità di crescita e confronto per chi il cibo lo produce, lo rispetta, lo consuma con criterio.