
Con la Favata sarda, finalmente inizio anch’io la partecipazione all’ MTChallenge. Un evento che ogni mese coinvolge persone appassionate di cucina, ma soprattutto di cultura del cibo, conoscenza delle materie prime, di ciò che si mette in pentola e consapevolezza di ciò che si porta a tavola.
Quindi più di una gara di cucina, del mettere in posa il piatto davanti alla macchina fotografica. E’ soprattutto scuola, confronto, apprendimento. E dietro le quinte della sfida c’è anche tanto lavoro, molto più di quanto se ne impieghi davanti ai fornelli e al set fotografico.
La prima sfida del 2016 è: Zuppe e minestroni, tema scelto dalla vincitrice della sfida precedente, Vittoria Traversa, autrice del bellissimo blog La cucina piccolina, che ringrazio per il suo post dettagliato e molto interessante sul minestrone genovese. E per avere scelto un tema a me particolarmente caro, non solo perché adoro le minestre a base di legumi e verdure, ma perché mi permette di proporre uno dei piatti della cucina sarda montana, la zuppa di fave secche, verza e parti miste di maiale, generalmente conosciuta come favata (nel Logudoro), o fada e lardu (nel nuorese ed Ogliastra).
La favata, oltre ad essere una pietanza, è parte dei riti antichi della cultura contadina, che celebrano il passaggio tra diversi momenti della produzione, coinvolgendo la comunità tutta . Con la favata si conclude il ciclo stagionale legato all’allevamento dei suini e, in attesa che arrivino i legumi freschi, si consumano quelli secchi conservati per l’inverno. La popolazione si riunisce nelle piazze del paese per l’assaggio del frutto di mesi di lavoro, solitamente le parti utilizzate per questo evento sono le più povere e deperibili del maiale: zampe, grasso, cotenne, soprattutto se l’annata è stata particolarmente generosa e gli animali sono cresciuti molto e sopravvissuti tutti sino al momento della macellazione. Oppure guanciale, salsiccia fresca, pancetta.
Ma il piatto prevede altri due ingredienti fondamentali, la verza, ortaggio invernale, e le fave secche, che in questo contesto rappresentano le monete e simboleggiano quindi l’abbondanza. L’inizio di questi festeggiamenti solitamente coincide con il primo giorno di carnevale e si protraggono sino all’inizio della quaresima. La favata sarda ha quindi il compito di chiudere una fase della produzione. I lunghi tempi di stagionatura di altre parti del maiale coincidono con la quaresima, ovvero digiuno, inteso come astinenza dalle carni, prima che la Pasqua e l’arrivo della primavera sanciscano la rinascita. Con il rito della favata le esigenze dei cicli stagionali trovano quindi un equilibrio e un senso più profondo nei dettami della religione.
Naturalmente i cambiamenti negli stili di vita, consentono di proporre varianti delle ricette originali, che sono piuttosto sostanziose. Oltre ad utilizzare parti ben più magre di cotenne e lardo, si potrà sbollentarle prima di unirle alle fave per proseguire poi la cottura della zuppa.
Come in ogni zuppa che si rispetti, il pane non può mancare, ad accompagnare la favata sassarese troveremo la spianata morbida, nella favata nuorese inzupperemo il pane carasau e nei centri dell’Ogliastra montana la fada e lardu potremo gustarla con dell’ottimo pistoccu.
Prova altre ricette della tradizione sarda
Favata sarda
Ingredienti per 4 persone
300 g di fave secche
500 g di cavolo verza
400 g di salsiccia fresca di suino
200 g di pancetta tesa o guanciale
1 mazzetto di finocchietto
1 cipolla media
Sale q.b. (circa 1 cucchiaino)
Per accompagnare
Pane carasau, o pistoccu, o spianata
Preparazione
In un contenitore capiente mettete le fave secche, ricopritele con abbondante acqua fredda e lasciatele in ammollo per 24 ore. Trascorso questo tempo scolatele, trasferitele in una pentola e aggiungete circa 3 litri di acqua fredda. Quindi portate a bollore e fate cuocere a fiamma bassa per 1 ora.
Nel frattempo pulite la verza, eliminate le parti più dure, tagliatela a strisce e sciacquate con abbondante acqua corrente. Pulite e affettate la cipolla. Tagliate la pancetta a strisce e dividete le salsicce in tocchi.
In un’altra pentola portate a bollore dell’acqua e tuffatevi la salsiccia e la pancetta, fate bollire per 3 minuti, affinchè perdano parte del grasso.
Unite metà della verza prevista alle fave, aggiungete anche le salsicce e la pancetta sbollentate, la cipolla affettata e il finocchietto sminuzzato. Fate cuocere per altri 30 minuti, quindi aggiungete il resto della verza, il sale e proseguite la cottura per un’altra mezzora.
In totale la zuppa dovrà cuocere per 2 ore e dovrà rimanere un po’ di brodo. Qualora fosse troppo asciutta, prima che termini la cottura aggiungete qualche tazzina d’acqua.
Spegnete la fiamma, tenete la pentola coperta per circa 5 minuti, quindi servite la favata sarda accompagnandola con fogli di pane carasau, spianata o pistoccu.
Fonti storiche: Gli anziani, la loro memoria, le mie radici.
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Conosco la versione sassarese, è davvero buona, vorrei provare la ricetta, spero di trovare le fave secche.
Ciao Adele 🙂 Dovresti trovarle facilmente, nei supermercati più forniti, o in qualche biobottega
Devo trovare le fave, poi la provo, perché questa zuppa mi piace moltissimo!
e’ splendido scovare ricette e tradizioni attraverso l’MTC, benvenuta quindi!
^_^
Grazie! Sono d’accordo, ecco perchè ci tenevo tanto ad essere parte del gruppo e le mie prime impressioni sono davvero ottime, per il clima che si respira e le tantissime cose che si imparano 🙂
Mi piace moltissimo la cucina sarda!
Questo piatto non lo conoscevo… Ora non. I resta che provarlo!
Ciao
Elisa
Ciao Elisa. E’ un piatto semplice e “povero”, la cucina sarda montana è forse meno conosciuta della cucina di mare, ma altrettanto interessante, vale la pena provare 🙂
questo post mi riporta indietro di un sacco di anni, direttamente alla mia infanzia: abitavo in un paese alla periferia di Genova, dove si era tutti un po’ parenti- e tutti rigorosamente nati nel raggio di pochi km. L’unica famiglia di emigranti veniva dalla Sardegna: avevano mantenuto intatte le loro tradizioni (ricordo che noi bambini andavamo a sentirli cantare, al tramonto, sotto le loro finestre) e, fra queste, c’erano le fave secche. A Genova, fave e sardo nuovo sono una tradizione del pranzo fuori porta e annunciano la primavera. Ma la minestra di fave, era una novità assoluta. Fra i tanti rimpianti che mi porto dietro, c’è anche quello di non aver condiviso nulla: i rapporti erano cordiali, ma poi si chiudeva la porta-e ognuno stava a casa sua. Il web aiuta, a colmare le lacune, ma mai avrei creduto di trovare la favata- con una ricetta così fedele al territorio e alla tradizione e con una introduzione che le restituisce vita e spessore. Aspettavo anche io che iniziassi a giocare- e sapevo che ne sarebbe valsa la pena. Bravissima!
Ciao Alessandra, ti ringrazio molto, sono davvero felice che tu l’abbia apprezzato. E mi ha fatto un piacere enorme leggere dei tuoi ricordi d’infanzia, sapere della tradizione genovese che con le fave e lardo accoglie l’arrivo della primavera. Hai detto una sacrosanta verità, il web permette anche di recuperare, custodire e condividere la nostra cultura. Tutto questo ero certa di trovarlo nell’MTC, le informazioni sono tante e l’entusiasmo con cui vengono condivise è contagioso. Grazie per avermi acccolta, è valsa davvero la pena aspettare.
benvenuta! ottimo esordio, bellissima proposta in puro stile emmeticino. Complimenti!
Ciao Cristina, grazie mille 🙂
Ma quante ne sapete! Escono fuori storie e tradizioni a ogni post sempre più bello e intenso!
Ti ringrazio perchè hai centrato in pieno il significato di questo gioco che arricchisce a ogni giro.
Il tuo post racconta una storia bellissima di cicli naturali e tradizioni che li sanciscono. Io per esempio non conoscevo questa tradizione molto significativa.
Zuppa strepitosa e bella rivisitazione in chiave più leggera e “moderna” come hai sottolineato.
Ciao Vittoria. Grazie a te per il bellissimo tema scelto, molto nelle mie corde. E per le ricette strepitose che hai proposto, nemmeno io conoscevo la storia del minestrone genovese e l’ho letta con piacere. Il bello di MTC è anche questo, lo scambio di informazioni e la partecipazione colletiva al grande patrimonio che è la nostra tradizione culinaria.