
La mia Pasta Madre ha compiuto 2 anni da poche settimane, il 14 gennaio del 2013 ho intrapreso questa avventura e creato il primo impasto per produrla. Tra tutte le strade possibili per averla, ho scelto quella considerata come la più complicata, in realtà creare la pasta madre è davvero molto semplice, se non manca un pizzico di passione, amore, volontà. L’ho chiamata Aurora e mi sembra il nome più azzeccato, perché come l’alba, che arriva dopo l’oscurità, ogni giorno, all’infinito, anche la pasta madre ha la peculiarità di perpetuare questo ciclo, collassando e poi tornando a nuovo splendore.
E come la natura, esige di essere trattata con riguardo, attenzione. La pasta madre è un essere dotato di vita e in grado di produrre il più sacro degli alimenti: Il pane.
Pasta madre, lievito madre, fermento, frammentu, sono alcuni dei nomi del lievito naturale. Tanti i modi per averne cura, differenti le teorie. Ci sono i sostenitori dei doppi rinfreschi quotidiani, Altri che se ne occupano il minimo indispensabile. Qualcuno lo porta in montagna per fargli cambiare aria, una mia amica canta mentre lo rinfresca. Altri ancora sottolineano l’importanza delle norme igieniche, la pulizia dei contenitori, l’ambiente in cui viene riposto, che deve essere privo di elementi che possano contaminarlo.
Creare una pasta madre dal principio, prendermene cura e imparare a comprenderla, gestirla, a prevedere anche i suoi umori e impiegarla per realizzare pane e dolci, è stato come riprendere il filo della storia familiare e rendere ancora viva una parte del mio passato, dove a scaldare la casa con il profumo di cose buone e genuine erano mia madre e il suo forno a legna.
Mia madre, mani d’oro, senso del sacro e rispetto per il cibo, che gestiva il lievito secondo un metodo che era proprio della comunità contadina in cui era cresciuta, dove tutto ciò che riguardava la preparazione degli alimenti, si svolgeva in un’atmosfera carica di significati mistici e di pura logica, sospesa tra il sacro e il profano, come il taglio a croce dell’impasto, utile per capire l’entità della crescita, ma accompagnato dal gesto manuale e cristiano del segno della croce, quasi scaramantico, a volerne garantire la buona riuscita.
Dopo averlo rinfrescato e aver preso la parte da utilizzare, mia madre metteva il lievito dentro una grossa tazza di ferro smaltato, qui raddoppiava il suo volume, iniziava a seccarsi e restava cosi, in dispensa, apparentemente abbandonato, fino alla panificazione successiva. Bastavano due rinfreschi , un paio di giorni prima, e il lievito era di nuovo in forma e pronto a lievitare diversi kg di farina di semola.
A far parte di questo insieme di gesti rituali, c’era lo scambio del lievito. Quando si accingeva alla panificazione periodica, capitava che mia madre scambiasse un pezzo del suo frammentu con altre massaie, una vicina, o una persona di famiglia. Non ricordo esattamente se si andasse ad unire al suo, portando nuovi elementi e batteri di rinforzo, o se semplicemente veniva usato per panificare insieme al proprio. Ma di fatto questo scambio era parte integrante dei legami di buon vicinato, che rendevano coesa e solidale la comunità. Tutto era di tutti e ogni famiglia era compartecipe di un bene primario.
In questi anni ho letto tante cose serie e tante leggende metropolitane sul lievito madre, ho avuto il coraggio di discernere, superando dubbi e perplessità, scegliendo un approccio sereno, rispettoso, ma realistico.
E’ il ricordo di questa gestione collettiva, molto intima e disinvolta allo stesso tempo, del lievito madre, su frammentu, ad avermi dato la consapevolezza che la pasta madre non è una cosa complicata, è la nostra storia, ha in se il mistero della vita e come tale ci porta soddisfazioni, sorprese, emozioni, tradizioni, cultura.